orientamento scolastico e professionaleNel lavoro di orientamento di scolastico e professionale occorre prestare molta attenzione a ciò che dice il soggetto che non corrisponde a ciò che dice l’individuo.

A questo proposto è interessante prestare attenzione alla distinzione che fa M-J. Sauret, [1] la quale sottolinea il fatto che la psicanalisi introduce la distinzione tra individuo e soggetto; ed è il linguaggio a creare questa differenziazione. Un individuo si definisce a partire dalle sue caratteristiche oggettive: fisiche, famigliari, sociali, psicologiche (la misurazione del quoziente intellettivo, ad esempio, è la quantificazione di operazioni che l’individuo è capace di fare).

In ragione di ciò, l’individuo può rappresentare l’eccezione dell’oggetto della scienza e del suo sapere.

Il soggetto, invece, è definito, propriamente dal suo rapporto con la parola. Egli è il solo degli oggetti della scienza a poter porre a sé stesso la domanda che la scienza pone a proposito degli oggetti (ad esempio dell’individuo) e il solo a dover tener conto della natura della risposta.

Orientamento scolastico e professionale

Nei colloqui di orientamento la persona è portata a porsi delle domande, del tipo: Chi sono io (che sto parlando)? Che lavoro faccio? Qual è la mia famiglia?

A queste domande essa tende a rispondere in maniera piuttosto precisa ma mediante una serie di parole che sembrano caratterizzarla che Lacan ci ha insegnato a definire, significanti.

Ad esempio, il cognome che è lo stesso dei suoi genitori, oppure il nome che esprime la sua identità sessuale e il desiderio dei suoi genitori, o ancora, la professione che ha svolto o che vorrebbe svolgere che tuttavia non lo rende unico, perché di ingegneri o di periti chimici ce ne sono a migliaia.

Dunque è difficile trovare un significante che sia proprio, unico del soggetto con il quale si sta facendo il percorso orientativo.

Bisogna stare dunque molto attenti a far combaciare gli elementi che compongono la storia formativa e professionale dell’individuo con la sua soggettività.

Talvolta mi sento di dire: “ciò che ho fatto e ciò che faccio non rappresentano appieno quello che sono”. Eppure, mi risuonano nelle orecchie, tante lezioni, tante letture, nei quali si poneva l’accento su quanto fosse importante per l’identità e la stabilità della persona, la sua identità professionale.

E’ vero, infatti, che quando si fanno azioni orientative con persone che hanno perso il lavoro, si osserva quanto sia importante l’appoggio che loro offre il proprio statuto professionale.

Nelle forme depressive che accompagnano, possiamo dire, sempre queste realtà, si riscontra la presenza di una serie di fattori, tra i quali, non secondari, quelli legati alla perdita della propria identità professionale. Il riconoscersi come un tecnico commerciale, un architetto o un progettista CAD, dà alla persona un ruolo, un posto che è si individuale ma soprattutto sociale.

Ho detto, infatti, un architetto, non l’architetto, un progettista CAD, non il progettista CAD. Sono tutti significanti che normalmente annoto sui miei fogli e che tuttavia non amputano la persona, la quale quando se ne torna a casa non si sente spogliata di qualche parte essenziale di sé.