La condizione dell’essere umano è quella di trovarsi inserito, fin dalla nascita, ed ancor prima, allorché i genitori cominciano a concepirne, della sua esistenza, il pensiero, in un rapporto con un “Altro” a lui esterno, ed anche antecedente, e che tuttavia lo determina.
E’ un “altro” sociale, nella sua accezione piu’ estesa, costituito dalle parole, dai messaggi, dalle soggiacenti induzioni che circolano e che sono circolate nella comunità ed anche nella storia umana.
Eppure, anche con questo Altro, in un certo senso impersonale, e non solo con l’altro materno è indispensabile che il bambino crescendo trovi un “accordo”, o meglio un “dialogo”, che gli permetta di esprimere una propria posizione autonoma.
Viceversa, se egli non entrasse in questo dialogo che comporta tra l’altro la perdita dell’onnipotenza, sarebbe uomo completamente libero e allo stesso tempo, completamente alienato all’Altro. Libero di una libertà impossibile, della quale non avendone la consapevolezza non saprebbe come servirsene.
Un uomo talmente libero, e per questo in possesso di un grande potenziale creativo ma un uomo al di fuori del suo contesto storico e sociale.
Proprio per questa condizione egli non sarebbe in grado di comunicare e di scambiare in modo riconoscibile con gli altri essere umani, suoi contemporanei.
Penso che alcuni grandissimi artisti, ed immediatamente il pensiero richiama le figure di Van Gogh e del Caravaggio, si siano collocati in una area di confine tra la luminescenza creativa nel suo punto umanamente piu’ alto, e la perdita di sé rappresentata dalla follia, dove la comunicazione con gli altri esseri umani diventa confusa e incomprensibile.