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Ho viaggiato in Tagikistan per diversi giorni sul confine con l’Afghanistan. Un fiume, il Panje ne segna la frontiera. Di qui camminavo tranquillo, gli uomini e le donne che incontravo mi salutava sorridendo. Di là, sull’altro versante, non so, non ci sono stato ma i racconti di un viaggiatore asiatico che da là proveniva mi dicevano dell’effettivo pericolo di vita che correrebbero gli occidentali che provassero ad avventurarvisi.

Con il teleobiettivo della macchina fotografica cercavo di cogliere la vita che sull’altro versante si svolgeva. Il rado andirivieni di contadini, pastori, bambini ed uomini che su quegli sterrati desolati camminavo a piedi, in moto o in piccole carovane a cavallo. Ingrandendo una di quelle casuali immagini vidi piuttosto chiaramente il kalashnikov che un giovane uomo, che sembrava accompagnare un uomo in abiti talebani, portava in spalla.

Di qui  armi non ne ho viste. Di certo il governo veglia attentamente –  il Tagikistan dopo indipendenza dall’URSS, avvenuta nel 1992, è stato afflitto da una disastrosa guerra civile – Non ho incontrati uomini girare con il mitra sulla spalla. Di là, in Afghanistan, un casuale scatto fotografico, invece, ha segnalato di un clima di tensione, di pericolo, anche in quei luoghi periferici, lontani dai territori di guerra che in questi anni i mezzi di comunicazione ci hanno fatto conoscere.

Naturalmente prendo spunto dal confine in senso geografico per parlare del confine come ambito, delimitazione psichica. Elemento sempre presente nella attività analitica e psicoterapeutica e fattore importante nelle patologie psichiche, nei disturbi di personalità, nelle nevrosi – nelle forme ossessive, negli attacchi di panico, nelle fobie sociale, nelle manifestazioni depressive.

Dunque: esiste un confine del soggetto ? A cosa serve un confine ?  E’ necessario un confine ? Dentro/fuori, di qui/di là, Io/ l’a-Altro.  Separazioni, differenze. Dolorose. Necessarie ?

continua…