confine desiderio Io

IL CONFINE DENTRO E FUORI E IL SUO RAPPORTO CON IL DESIDERIO

Il tema del confine è l’oggetto dell’intervista radiofonica, qui acclusa, attraverso la quale cerco di indagarne la presenza e la sua incidenza su ciascuno di noi. Dare uno sguardo al territorio al di là della linea di demarcazione, rendendomi conto che il confine del soggetto umano – del “parlessere” – è qualcosa che è già presente dentro, collocata all’interno, del soggetto stesso. E tuttavia così sconosciuta, o temuta, ad apparire “extranea”, e per questo posta all’esterno.fuori, aldilà dei confini apparenti del proprio Io; baluardo incerto ed illusorio della propria dimensione.

Il confine linea di separazione o di unificazione?

Il confine è solo spazio che separa, oppure è anche  occasione per una nuova unione? Spazio di sogno, di sperimentazione, di possibilità, di conoscenza, oppure di frammentazione e di divisione? Il confine come linea che protegge dalle incursioni pericolose dell’altro, oppure che chiude al rapporto creativo con l’altro?

Linea simbolica, reale ed anche immaginaria.

Dimensione di grande attualità che riverbera dal sociale al soggettivo. Realtà complessa e problematica del rapporto non solo intersoggettivo e interculturale ma anche intrasoggettivo.

E’ necessario il confine?

Cos’è un confine? Quale il suo senso? Quale il prezzo del suo mantenimento, o della sua abolizione? E poi, domanda decisiva: esiste un confine? E, infine: il confine è una realtà Reale del soggetto, oppure è una dimensione costruita? E nel caso: è una dimensione necessaria o eliminabile?

Il tema del “Confine” mi interroga e mi inquieta. E’ facile trovare nell’attualità riferimenti ad esso:  migrazioni di popolazioni, di individui, spinti dalla disperazione causata da una guerra, dall’attrazione di un benessere a loro sconosciuto, o dal desiderio di una vita con piu’ opportunità. Non intendo riferirmi tanto alla dimensione geografica del confine, seppure questa costituisca un elemento continuo di analogia e di confronto.

La dimensione fobica del confine

Comincio con il dire che la realtà del confine è una realtà di fascinazione. La fobia lo mostra con chiarezza: la fascinazione attrae e nel contempo spaventa. Si vorrebbe stare lontano dal confine ma inevitabilmente ci si muove verso di esso. E quando ci si trova sul bordo, sulla linea di demarcazione che separa il “di qua” da ciò che sta “di là” si è assaliti da una eccitazione che è insieme desiderio di andare oltre, di superare la linea di divisione, di limite, ed esitazione e timore di fronte al passo che si sta per compiere ed all’incognita di ciò che si può trovare “di là”.

Non c’è luogo di fuga

Trovo che il verso estratto dalla canzone “La casa di Hilde”, di F. De Gregori, “oltre il confine con molto dolore non trovai fiori diversi” sia fantastico. Da sempre risuona dentro di me. Racchiude il senso dell’andare aldilà del confine. Il sogno, la speranza che altrove ci sia un luogo di felicità, di pace, o comunque un luogo diverso, nuovo. Un luogo dove si possa venire a contatto con realtà sconosciuta, un mondo diverso da quello conosciuto. Un luogo dove finalmente si possa essere sé stessi.

Le motivazioni che spingono aldilà del confine

Nell’andare verso il confine si è spinti da motivazioni multiformi: speranza, desiderio, sogno, avventura, fuga, separazione, solitudine. Il desiderio è infinito nelle sue ragioni e sostiene tutte le altre motivazioni. Speranza di una possibilità di vita migliore. Il sogno di trovare ciò che non si è incontrato nella propria realtà. L’avventura di vivere esperienze e dimensioni nuove. La fuga da ciò che nella nostra realtà ci risulta difficile da sopportare. La separazione da ciò che ci ha dato sicurezza e riferimento. La solitudine connesso alla scelta di lasciare il luogo e gli affetti conosciuti e rassicuranti.

La delusione della realtà

Per poi ritrovarsi dall’altra parte, oltre il confine, e vedere che “non ci sono fiori diversi”. La delusione difficile da sostenere che non c’è spazio di fuga, che non c’è realtà appagante che i conti con sé stessi bisogna sempre e comunque farli, prima o poi.

E’ evidente come queste sollecitazioni siano applicabili su un piano di concretezza geografia e sociale ma anche, e soprattutto, per quel che mi interroga, sul piano della esperienza psichica soggettiva. E credo che ora sia chiaro di come il mio discorso intorno al tema del confine miri non tanto alle sue implicazioni sociologiche ma a quelle psicodinamiche.

La mancanza e il desiderio

C’è comunque una bellezza nel confine. E’ la possibilità di pensare e di cercare un luogo, un “altrove”, un altro. Realtà diverse da conoscere e da scoprire.

Psicanaliticamente un luogo dove la “mancanza ad essere” che è strutturale del soggetto parlante – il “parlessere” nel linguaggio di Lacan – possa immaginare e simbolizzare il tentativo mai realizzabile di dare una risposta compiuta al proprio esistere.

Il confine offre la possibilità di sostenere la mancanza del soggetto; mancanza che è motore essenziale della soggettività, cioè del desiderio. L’individuo è soggetto quando può desiderare. Sono evidenti nella clinica le patologie del desiderio. Nella depressione dove non c’è desiderio; nelle forme ossessive nelle quali il desiderio è prigioniero e disturba il soggetto; nell’anoressia, dove il desiderio viene deriso, poiché elevato al desiderio di niente. Si potrebbe proseguire nell’elencazione dei disturbi psichici nei quali il desiderio occupa un posto centrale nella dinamica soggettiva. Ci limitiamo agli esempi citati costatando, comunque, come in ogni disagio psichico sia sempre chiamato in causa il rapporto del soggetto con il desiderio.

Il desiderio e il rapporto con l'(A)altro

L’elemento che gioca il ruolo di comune denominatore di tutte le sofferenze psichiche: è il fatto che il desiderio implica sempre la questione del rapporto del soggetto con l’a(A)ltro; poichè, come dice Lacan: “il desiderio è desiderio dell’altro”. Sviluppando questo pensiero, significa che ciò che il soggetto desidera è sia desiderio di altro, sia desiderio di ciò che l’a(A)ltro desidera ma soprattutto che il soggetto è egli stesso oggetto di desiderio dell’A(a)ltro; è nelle mire del desiderio, dell’a(A)ltro.

Trattandosi del rapporto tra il soggetto e l’a(A)ltro, è ovvio poter pensare che ci sia un confine tra le due entità. Che ci sia un confine, o che ci dovrebbe essere. Perché sono continue, fin dall’inizio le scorrerie dell’a(A)ltro nel territorio del soggetto. Anzi, all’inizio non c’è territorio del soggetto e quindi non c’è ancora alcun confine, non c’è nulla che demarchi il territorio del soggetto e lo separi dal quello dell’a(A)ltro.

La creazione del confine: l’IO

Ci vuole un elemento riflettente, uno specchio, perché possa costituirsi un confine.

Il rimirarsi giubilante del soggetto nello specchio – il bambino all’età nella quale muove i primi passi autonomamente – alla parola dell’altro che sta alle sue spalle, o che lo tiene in braccio, e che gli dice che quell’estraneo, quell’altro, che vede nello specchio, è lui stesso. “Guarda, quello sei tu !”

E’ così che comincia a costituirsi l’Io; per mezzo delle parole dell’altro.

Da ciò si capisce come sia davvero difficile pensare che l’Io si sia costituito a partire da un “di qua”, rispetto ad un “di là” dell’A(a)ltro, vale a dire da un luogo separato, diviso da un confine, dall’A(a)ltro.

E’ celeberrima la frase di Lacan che afferma che la follia piu’ grande è quella di considerarsi un Io.